“Dell’impegno sui valori per il dopo Expo non c’è traccia, tutto si esaurisce nel dibattito sulla riconversione della struttura milanese e sul saldo dei debiti rimasti aperti. Ne l’Expo, né il dopo Expo, hanno dunque saputo riconciliare il Paese con la sua vera agricoltura, quella fatta da oltre 3,5 milioni di donne e uomini che per tutto l’anno o per poche giornate vivono, lavorano e producono una parte importante della ricchezza materiale del nostro Paese”.
Lo dichiara in una nota l’Ong Centro Internazionale Crocevia che da sessant’anni si occupa di agricoltura nel mondo.
Tra i valori disattesi, nonostante gli slogan, quello di contribuire al superamento della fame contrastando la povertà. Il ministro Martina evidentemente non ha colto il messaggio del Comitato per la Sicurezza alimentare delle Nazioni Unite e si è limitato a organizzare un viaggio premio per i delegati governativi che sono stati portati in Expo.
La fame, diversamente da quello che il Governo ci vuole fare credere, non si combatte con la tecnologia ma ripartendo la ricchezza e le risorse necessarie alla produzione di cibo. I 21 milioni di euro investiti dal MIPAF per biotecnologie sostenibili e agricoltura di precisione e digitale sono uno specchietto per le allodole.
I numeri sul settore delle biotecnologiche italiane confermano che le imprese non sono affatto interessate al cibo: su un fatturato complessivo di poco superiore ai 9 miliardi di euro, oltre 7 miliardi sono appannaggio di imprese che si occupano biotecnologia della salute. Le 44 aziende che sviluppano applicazioni di ingegneria genetica per l’agricoltura e l’alimentazione sono, per due terzi, “di dimensione micro” e difficilmente possono immaginarsi come motore dello sviluppo in Italia.
In valore tutte le imprese biotech italiane invece valgono meno delle aziende agricole che occupano meno di 1 ULA (Unità Lavorative per Anno), realizzando una produzione agricola che supera i 10 miliardi annuii.
Mentre per l’agricoltura italiana resta meno del 60% della superficie del Paese, i dati Istat parlano chiaro: due terzi delle aziende agricole italiane pur avendo una superficie inferiore ai 5 ettari danno prova di efficienza economica, le aziende che fatturano meno di 15.000 euro all’anno realizzano oltre il 10% della produzione agricola. Se a queste aggiungiamo quelle che fatturano fino a 50.000€, superiamo il 27% del valore della produzione agricola.
Di questo patrimonio il Governo non sembra avere alcuna cura, punta sul mito dell’export agroalimentare che rafforzerà le multinazionali del settore presumibilmente a scapito della PMI italiana ancora esistenti che vivono dell’andamento dei consumi alimentari interni, consumi che stentano a riprendere un qualche vigore a causa della crisi economica.