Interconnessioni tra le nuove biotecnologie e la DSI o GSD

Di Guy Kastler, Confédération paysanne (sindacato membro di La Via Campesina)

Pubblicato l’11 luglio 2024 su info’ogm (leggi l’originale in francese)

Quale nesso fra nuove tecniche di modificazione genetica, digitalizzazione delle informazioni di sequenza genetica e brevetti? Inf’Ogm pubblica qui l’analisi presentata a giugno 2024 in occasione di un workshop regionale dell’African Centre for Biodiversity a Durban (Sudafrica). L’analisi è stata redatta da Guy Kastler, rappresentante dell’organizzazione contadina internazionale La Via Campesina in diverse riunioni dell’ITPGRFA e della CBD.

Commento introduttivo dell’autore: Le spiegazioni sui brevetti sviluppate in questo articolo prendono come esempio gli attuali sviluppi della regolamentazione sugli OGM nell’Unione Europea, che applica gli accordi sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale legati al commercio (TRIPS) allegati alle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), il Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura (ITPGRFA), la Convenzione sulla Biodiversità (CBD), i Protocolli di Nagoya e Cartagena, ecc. Le regole per l’applicazione di questi stessi accordi internazionali in altri paesi o regioni possono presentare alcune differenze, ma i principi generali rimangono gli stessi. D’altra parte, nei Paesi che non hanno ratificato il Protocollo di Cartagena, come gli Stati Uniti e il Canada, i rischi di biopirateria diffusa denunciati in questo articolo non sono più rischi, ma sono già una realtà.

Cosa sono le nuove biotecnologie?

Le nuove biotecnologie sono tutte “biotecnologie moderne” secondo la definizione del Protocollo di Cartagena. La CBD le classifica come “biologia sintetica”. La Commissione Europea usa il termine “nuove tecniche genomiche” (New Genomic Techniques) o, per le piante, “nuove tecniche di selesione” (New Breeding Techniques). La proliferazione di nuovi nomi senza una definizione riconosciuta a livello internazionale ha il solo scopo di creare confusione per escludere queste tecniche dal campo di applicazione del Protocollo di Cartagena, che si applicherebbe quindi solo alla transgenesi. Lo stesso vale per le cosiddette sementi “biofortificate”. Esistono alcuni rari semi tradizionali biofortificati, ma la stragrande maggioranza è geneticamente modificata.

L’industria vuole anche escludere da questo campo di applicazione alcuni prodotti derivati dalle moderne biotecnologie, come i pesticidi RNAi, i vaccini, i virus, ecc. perché non sono essi stessi organismi viventi, anche se vengono diffusi con lo scopo di modificare il genoma o l’epi-genoma di organismi viventi. Ad oggi, la CBD non ha ancora concluso le discussioni su questo tema.

Che cos’è l’informazione genetica?

Il gene non è un organismo, ma è un elemento costitutivo essenziale degli organismi viventi. È costituito da acidi nucleici, che sono molecole chimiche materiali. Il gene è dunque una sostanza fisica, materiale. Certi geni sono considerati portatori di un’informazione che determina una caratteristica biologica particolare degli organismi che li contengono. Oggi è risaputo che un carattere biologico dipende sovente da più geni e che, in diversi contesti, lo stesso gene può generare caratteri differenti o nessun carattere. Ma il diritto internazionale non si preoccupa di queste sottigliezze.

L’informazione non è una sostanza materiale. Tuttavia, l’informazione genetica è definita solo dal suo supporto materiale, la sequenza genetica e il carattere fenotipico risultante dalla sua espressione. I genetisti dicono che “il gene codifica per una proteina”, mentre i giuristi parlano di “funzione”. Tuttavia, questo supporto materiale può anche essere smaterializzato in dati informatici che possono viaggiare in tutto il mondo e poi essere visualizzati sugli schermi dei computer sotto forma di una successione ordinata di 5 lettere (A, C, T, G e U), che simboleggiano gli acidi nucleici del DNA o dell’RNA che compongono le sequenze genetiche. Ma queste serie di lettere da sole non dicono nulla sulla funzione della sequenza genetica che rappresentano. Questa funzione deve essere indicata altrove.

Due nuove espressioni sono ora accostate in tutti i dibattiti giuridici internazionali: Digital Sequence Information (DSI) e Genetic Sequence Data (GSD). Ma nessuna delle due ha una definizione giuridica concordata per stabilire se si riferisca alla sequenza genetica fisica, parte integrante delle risorse biologiche fisiche, o solo alla sua rappresentazione digitale dematerializzata prodotta dalla ricerca.

L’informazione genetica, il Protocollo di Cartagena e i brevetti

I primi brevetti sui geni sono stati concessi negli Stati Uniti negli anni ’80, dopo numerose controversie sulla privatizzazione degli organismi viventi. Nel 1998, l’Unione Europea ha adottato la Direttiva Biotech 98/44/CE, che stabilisce (articolo 9) che “la protezione attribuita da un brevetto ad un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione”. Per il legislatore europeo, l’informazione genetica è quindi contenuta in un prodotto o costituisce il prodotto stesso e può conferire un diritto esclusivo di utilizzo dei materiali che la contengono. Pur essendo immateriale, rimane quindi parte integrante di questi materiali biologici.

La Direttiva europea non specifica se questo diritto esclusivo di utilizzo sia limitato esclusivamente ai materiali derivati dal processo tecnico che giustifica l’invenzione brevettata. Può quindi estendersi a prodotti derivati da selezione convenzionale o contadina che contengono naturalmente informazioni genetiche simili nella descrizione a quelle rivendicate dal brevetto e che ne esprimono la funzione. Finora, solo il Protocollo di Cartagena ha limitato il rischio di estendere abusivamente il campo di applicazione di tali brevetti ai “caratteri nativi”. Il suo Allegato II e) richiede la divulgazione di “qualsiasi identificazione unica” degli OVM (Organismi Viventi Modificati) destinati ad alimenti, mangimi o alla trasformazione. Un’identificazione univoca consente di distinguere l’OVM brevettato da qualsiasi altro prodotto. Di conseguenza, la portata di un brevetto su un OVM può estendersi solo a quell’OVM e ai prodotti derivati o contaminati da quell’OVM, e non ai geni nativi dei prodotti tradizionali. I paesi ricchi che ospitano le maggiori aziende industriali vogliono eliminare questo ostacolo alla biopirateria. A tal fine, stanno sviluppando una serie di storie fantasiose sostenendo che le nuove biotecnologie non sono biotecnologie moderne ai sensi del Protocollo di Cartagena.

I brevetti sull’informazione genetica e il Protocollo di Cartagena

Mentre i protocolli normativi per l’individuazione e l’identificazione degli OVM transgenici sono stati adottati a livello internazionale, non si può dire lo stesso per gli OVM ottenuti con nuove biotecnologie. Tutti i titolari di brevetti hanno i mezzi per identificare e perseguire chiunque violi la loro invenzione. Questi processi potrebbero soddisfare l’obbligo di identificazione univoca previsto dal Protocollo. Tuttavia, in base al diritto dei brevetti, si tratta di informazioni riservate protette dal segreto industriale. Questa riservatezza consente alla Commissione europea di ignorarne l’esistenza, di sostenere che non c’è nulla che distingua gli OGM derivati da nuove biotecnologie dagli organismi ottenuti con tecniche tradizionali non soggetti agli obblighi del Protocollo e, di conseguenza, di proporre di escluderli dal campo di applicazione del Protocollo.

La descrizione numerica (GSD) del solo gene modificato può non essere sufficiente a stabilire questa distinzione, ma lo stesso non si può dire della descrizione dell’organismo modificato nel suo complesso, con le firme genetiche, epigenetiche e molecolari degli effetti involontari on-target o off-target delle tecniche genetiche utilizzate, che consentono un’identificazione univoca incontestabile di quell’organismo. Per questo motivo l’industria e la Commissione europea vogliono limitare la regolamentazione al carattere genetico rivendicato nel brevetto, senza prendere in considerazione la totalità dell’organismo geneticamente modificato.

L’inversione dell’onere della prova

Il titolare di un brevetto può far sequestrare dalle autorità i prodotti dei suoi concorrenti sulla sola base di una presunzione di contraffazione. Spetta poi al presunto contraffattore dimostrare che i suoi prodotti non si basano sull’invenzione brevettata. Potrà farlo solo se avrà pubblicato in un documento ufficiale, prima della prima rivendicazione del brevetto, che il suo prodotto conteneva già le informazioni genetiche rivendicate nel brevetto e se avrà depositato in una collezione ufficiale un campione che consenta di fornirne la prova. Gli agricoltori e le piccole aziende sementiere locali non sequenziano né depositano in collezioni ufficiali i milioni di nuovi semi che conservano e selezionano ogni anno. Se contengono naturalmente informazioni genetiche descritte come simili a quelle brevettate, solo l’obbligo di pubblicare l’identificatore univoco dell’OVM può consentire loro di dimostrare che non hanno copiato l’invenzione brevettata. Escludere i nuovi OVM dall’ambito di applicazione del Protocollo di Cartagena eliminerebbe questo obbligo, legalizzando così la biopirateria, in diretta violazione dei diritti dei contadini e delle popolazioni indigene sanciti dall’ITPGRFA e dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini (UNDROP).

2014: l’ITPGRFA si scontra con il brevetto sull’informazione genetica

L’ITPGRFA ha organizzato, nel luglio 2014, una cerimonia dedicata al 10° anniversario della sua entrata in vigore. In questa occasione, il suo Segretario, Shackel Batthi, ha annunciato di aver sottoscritto l’impegno del Trattato per il nuovo programma DivSeek, volto a pubblicare in libero accesso su Internet le sequenze genetiche dei due milioni di campioni di semi conservati nelle banche genetiche a disposizione del sistema multilaterale di accesso facilitato e condivisione dei benefici (MLS) del Trattato.

Il sequenziamento completo della prima pianta, il riso, iniziato nel 1993 in Giappone, è stato completato solo 12 anni più tardi, nel 2005, un anno dopo la firma del Trattato. L’operazione ha coinvolto centinaia di ricercatori di 11 Paesi diversi e milioni di dollari. Nel 2014, il sequenziamento di un campione vegetale richiedeva solo pochi giorni e costava poche decine di dollari. Oggi è completamente automatizzato, richiede solo uno o due giorni a seconda della precisione richiesta e costa solo pochi dollari.

Questa constatazione ha permesso al rappresentante de La Via Campesina di rispondere a Shackel Batthi, che si aspettava di ricevere dei complimenti, denunciando al contrario la sua iniziativa: “con l’evoluzione delle tecniche, la messa insieme dei dati genetici e fenotipici sulle risorse fitogenetiche rende più facile il deposito di brevetti sui caratteri delle piante, compresi i cosiddetti caratteristi ‘nativi’ che esistono già in natura. Tali brevetti consentono l’appropriazione privata di queste risorse. Preannunciano la morte dell’accesso facilitato che è alla base del Sistema Multilaterale. Si preannuncia inoltre la fine dei diritti degli agricoltori che non potranno più utilizzare né scambiare le proprie sementi se un brevetto viene depositato su un gene già presente naturalmente o se vengono contaminate da geni brevettati”.

L’accesso alle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (PGRFA) ai sensi del MLS è “facilitato”, il che significa che è esente da qualsiasi accordo bilaterale tra il fornitore e il destinatario. Tuttavia, ciò non significa che sia gratuito, in quanto è ancora soggetto all’obbligo di condivisione dei benefici e al divieto di qualsiasi rivendicazione di brevetto relativa alla risorsa fornita, alle sue parti o ai suoi componenti genetici (articolo 12.3.d del Trattato). Il libero accesso su internet alle sequenze genetiche di queste risorse, organizzato da DivSeek, costituisce quindi una violazione del Trattato. Shackel Batthi ha commesso un grave errore impegnando il Trattato nel programma DivSeek, per di più senza chiedere il consenso del suo Consiglio di amministrazione. Ha perso il suo posto due anni dopo, ed è tornato prontamente dal suo vecchio datore di lavoro, l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO), che in realtà non aveva mai smesso di servire.

Nel 2017, il nuovo concetto di DSI è apparso all’ordine del giorno dell’Organo direttivo del trattato. L’assenza di tracciabilità dell’origine delle DSI brevettate consente all’industria di affermare di non aver utilizzato alcuna PGRFA del MLS. Ciò la esenta da qualsiasi obbligo di condivisione dei benefici e da qualsiasi divieto di brevettare le componenti genetiche delle PGRFA, nonché dall’estendere l’ambito di applicazione di tali brevetti alle sementi “native” o a quelle derivate dalla selezione convenzionale che contengono le stesse DSI. Ciò ha portato ad accesi dibattiti tra, da un lato, i paesi del Sud globale e i contadini principali fornitori di PGRFA, che ritengono che le DSI siano risorse genetiche soggette agli obblighi del Trattato, e, dall’altro lato, i paesi ricchi del Nord globale, che ritengono le DSI dei prodotti della ricerca non soggetti a questi obblighi. Il dibattito è tutt’ora in corso.

DSI e nuove biotecnologie per produrre nuovi brevetti?

Una sequenza genetica da sola non può essere brevettata a meno che non sia il risultato di una invenzione brevettabile, come le nuove biotecnologie, e senza l’indicazione della sua funzione, che è il carattere fenotipico risultante dalla sua espressione. Con la dematerializzazione delle PGRFA, la condivisione dei benefici diventa lo strumento principale per determinare queste funzioni.

L’accesso facilitato alle PGRFA del MLS elimina qualsiasi possibilità di accordo bilaterale tra gli agricoltori che hanno fornito le loro sementi e il beneficiario. Per questo motivo il Trattato ha istituito un Fondo multilaterale di condivisione dei benefici, finanziato quasi esclusivamente da pochi stati, ben al di sotto delle somme che dovrebbe pagare l’industria, che si rifiuta di onorare i propri obblighi al di là di qualche rara elemosina. Questo Fondo non paga gli agricoltori che hanno fornito le loro PGRFA al MLS, ma prima di tutto le banche nazionali dei semi nei paesi in via di sviluppo e poi i ricercatori e le ONG che raccolgono nuove PGRFA selezionate dagli agricoltori, raccogliendo allo stesso tempo le loro conoscenze associate a queste PGRFA. L’accesso ai finanziamenti del Fondo di condivisione dei benefici obbliga le banche nazionali dei semi, i ricercatori e le ONG a depositare queste PGRFA nelle collezioni del MLS e a pubblicare le conoscenze associate, che costituiscono le funzioni delle sequenze genetiche in esse contenute.

DivSeek e altri programmi simili offrono oggi accesso gratuito a diversi miliardi di sequenze genetiche, epigenetiche e proteiche… di PGRFA. Le pubblicazioni scientifiche, quelle delle ONG e del sistema informativo del Trattato consentono la costituzione di banche dati dei caratteri associati a ciascuna PGRFA. I potenti motori di ricerca informatici di alcune major dell’industria sono ora in grado di elaborare i milioni di dati necessari per identificare quale sequenza genetica di un campione di PGRFA “codifica” per quale funzione. Tutto ciò che devono fare è mobilitare i loro genetisti per raccontare come introdurre queste informazioni genetiche nelle varietà di laboratorio utilizzando una nuova biotecnologia brevettabile, e poi i loro avvocati per tradurre la storia di questi genetisti nel linguaggio legale di una domanda di brevetto per le piante che contengono queste informazioni geneticche. A questo punto possono annunciare nuove promesse di risoluzione di tutti i problemi agricoli e alimentari attuali, vietando allo stesso tempo ai loro concorrenti di utilizzare la biotecnologia e le informazioni genetiche brevettate, o imponendo loro il pagamento di sostanziosi diritti di licenza.

È solo dopo questa prima fase che tentano di introdurre l’informazione genetica nelle loro varietà commerciali d’élite. Ma questa seconda fase raramente ha successo, perché il mondo vivente reale non funziona secondo le leggi dell’intelligenza artificiale dematerializzata. Non obbedisce ai calcoli di probabilità della modellizzazione informatica, che hanno definito l’informazione genetica brevettata e poi programmato il processo tecnico per inserirla nelle piante reali. Solo alcuni rari successi casuali hanno permesso di sviluppare e commercializzare nuove sementi ottenute da queste nuove biotecnologie. Questa difficoltà nel passare dal mondo virtuale dell’intelligenza artificiale al mondo vivente reale spiega la discrepanza tra le migliaia di brevetti e pubblicazioni relativi ai nuovi OGM e le rare piante già presenti sul mercato. Tuttavia, ciò non impedisce che questi brevetti alimentino l’accelerazione esponenziale della concentrazione dell’industria delle sementi nelle mani delle quattro o cinque principali aziende sementiere del mondo, che detengono i portafogli più ampi. La maggior parte di queste grandi aziende sementiere sono anche chimiche, e alcune farmaceutiche, che investono anche in nuovi pesticidi di “biocontrollo”, farmaci, prodotti veterinari, microrganismi e animali robotici… derivati dalle stesse nuove biotecnologie.

Quale soluzione?

In assenza di finanziamenti per il Fondo di condivisione dei benefici, nel 2013 il Trattato ha istituito un gruppo di lavoro per migliorarne il funzionamento. A seguito del blocco sistematico da parte dell’industria e dei pochi paesi ricchi che la sostengono, il Trattato lo ha sospeso nel 2019 in attesa di una possibile soluzione proposta dalla CBD.

Ad oggi, la CBD non ha ancora raggiunto un accordo sulla definizione di DSI. Ha invece aggiunto il nuovo concetto, anch’esso non definito, di “dati di sequenza genetica” [Genetic Sequence Data – GSD ndt]. D’altra parte, ha sollevato la possibilità di sostituire la condivisione bilaterale dei benefici con un Fondo multilaterale finanziato da un prelievo su qualsiasi commercializzazione di prodotti derivati dall’uso di DSI da risorse biologiche. Tuttavia, non ha spiegato come avrebbe identificato tale uso. L’industria potrà ancora aggirare i suoi obblighi di pagamento rivendicando brevetti non sulle informazioni genetiche provenienti da risorse biologiche (DSI/GSD), ma su materiali biologici ottenuti per sintesi chimica o genetica, come fa da tempo per le copie chimiche sintetiche di sostanze naturali, che costituiscono molti farmaci brevettati.

All’inizio del 2023, l’ITPGRFA ha ricostituito il suo gruppo di lavoro sul funzionamento del MLS. La proposta della CBD l’ha portato a privilegiare un prelievo su tutte le vendite di sementi da parte delle aziende che utilizzano l’accesso al MLS (subscription system), senza tuttavia escludere l’uso facoltativo dell’attuale sistema di pagamento, del tutto inefficace, per la commercializzazione dei soli prodotti derivanti dall’utilizzo di PGRFA del MLS (single access option). Questo meccanismo risparmierà le grandi aziende che utilizzano solo le proprie collezioni e/o le collezioni pubbliche ancora ad accesso libero, come quelle degli Stati Uniti. Inoltre, a differenza della CBD, che è vincolata solo da un obbligo di condivisione dei benefici, il Trattato vieta anche qualsiasi brevetto sulle componenti genetiche delle PGRFA del MLS. Se mai verrà finalizzata, la soluzione della CBD, che non tiene conto di questo divieto, non sarà quindi sufficiente da sola a rispettare il Trattato.

Non sarebbe più semplice ammettere che gli enormi investimenti nelle nuove biotecnologie sono finalizzati esclusivamente ai profitti derivanti dai brevetti e non offrono alcuna soluzione alle attuali sfide alimentari, sociali, climatiche, sanitarie e ambientali, che rischiano di aggravare? La soluzione non sarebbe forse quella di vietare tutti i brevetti sugli organismi viventi?