Oggi si chiude la consultazione aperta dalla Commissione Europea sulle cosiddette “biotecnologie di seconda generazione“, quelle tecniche per la creazione di piante modificate in laboratorio che vorrebbero, nella speranza dei promotori, sfuggire alla regolamentazione comunitaria sugli OGM.
La retorica dell’industria sementiera, delle aziende agrochimiche, delle principali istituzioni nazionali e di parte del mondo della ricerca è le biotecnologie per l’editing del genoma siano più sicure e precise rispetto alla transgenesi. Questo basterebbe, a loro dire, per rendere piante e frutti creati in laboratorio equivalenti agli incroci naturali. Per quale motivo allora regolamentarli come OGM, dicono, obbligandoli a una rigida valutazione del rischio, alla tracciabilità e all’etichettatura?
Come Crocevia abbiamo più volte sottolineato che non è possibile paragonare le nuove tecniche di creazione varietale (chiamate prima NBT come New Breeding Techniques, poi NGT come New Genomic Techniques) alle mutazioni casuali o naturali. Le ragioni per cui questi sono nientemeno che nuovi OGM – con gli stessi rischi e le stesse criticità storiche – le abbiamo affidate alla sintesi che trovate qui sotto, inviata ieri alla Commissione Europea.
Per saperne di più, guarda il documentario girato per Crocevia da Danilo Licciardello!
Risposta di Crocevia alla consultazione europea
L’Italia è di fatto dal 2001 ufficialmente libera da OGM secondo l’attuale legislazione europea. La legislazione europea sugli OGM attualmente in vigore è adeguata al progresso scientifico e tecnologico che sta avvenendo, specialmente l’articolo 2 della direttiva 2001/18/CE fornisce una definizione univoca di OGM dalla quale non ci si può discostare: “un organismo, ad eccezione dell’essere umano, in cui il materiale genetico è stato alterato in un modo che non avviene naturalmente per accoppiamento e/o ricombinazione naturale”. La Commissione non fa mai riferimento a questa definizione, che è alla base della legge europea sugli OGM. Sulla base di questa definizione, la direttiva stabilisce nei suoi allegati tre categorie di tecniche: quelle che producono OGM soggetti a regolamentazione, quelle “che non sono considerate implicanti modifiche genetiche” e quelle “da escludere dal campo di applicazione della direttiva”. Le altre tecniche che producono OGM ai sensi della definizione della direttiva rientrano quindi tutte nel suo campo di applicazione senza eccezione. L’unico compito della Commissione è quindi quello di determinare quali delle tecniche non incluse in nessuna di queste liste producono o non producono OGM ai sensi di questa definizione, e non di usare un ragionamento che non tiene conto di questa definizione per sostenere che non li producono.
Il presente contributo viene proposto a nome del Centro Internazionale Crocevia, una ONG con base a Roma che supporta i movimenti internazionali dei produttori su piccola scala negli spazi di creazione di politiche internazionali come la Convenzione sulla Diversità Biologica e i suoi Protocolli, il Trattato sulle Risorse Fitogenetiche per il Cibo e l’Agricoltura, e i comitati tecnici della FAO sulle risorse genetiche (COAG e CGRFA).
Nel 2001, la transgenesi è stata definita come una tecnica che produce OGM non esenti. Questa tecnica è stata sperimentata per le colture agricole negli anni ’80, ha cominciato ad essere sviluppata negli anni ’90 e si è sviluppata principalmente dopo il 2001. Tutte le tecniche di modificazione genetica apparse contemporaneamente o dopo la transgenesi e sviluppate principalmente dopo il 2001 – come l’editing genomico – rientrano nel campo di applicazione della direttiva, come stabilito anche dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’UE nel 2018.
L’introduzione di materiale genetico e le tecniche associate di moltiplicazione e rigenerazione in vitro delle cellule vegetali producono una serie di alterazioni non intenzionali on-target e off-target del materiale genetico che sono diverse da qualsiasi serie di mutazioni naturali o derivate convenzionalmente. La realtà conferma la necessità di applicare rigorosamente l’attuale regolamento a tutti gli OGM senza eccezioni per mantenere l’Italia nel suo attuale regime libero da OGM.
Invitiamo la Commissione a considerare quale danno economico si verificherebbe se queste mutazioni impreviste facessero sì che un prodotto italiano etichettato come “libero da OGM” sia invece considerato un “prodotto OGM”. L’impatto economico di una deregolamentazione dei “nuovi OGM” sull’agricoltura italiana è sicuramente significativo, soprattutto per le piccole e medie aziende. Il sistema agricolo italiano è caratterizzato dall’assoluta prevalenza di piccole aziende dove qualsiasi contenimento o barriera per evitare la bio contaminazione è – di fatto – impossibile. Questo creerebbe un’uniformità dei prodotti tale da non poter più valorizzare l’agricoltura di piccola scala e di prossimità caratteristica della produzione italiana.
Il raggiungimento degli obiettivi della strategia Farm to Fork e del Green Deal è possibile solo mantenendo l’attuale legislazione. Chiediamo quindi alla Commissione Europea di non creare nuove normative, ma di applicare l’attuale legislazione del 2001, aggiornando le nuove tecniche che producono prodotti OGM, tutelando la biodiversità e la produzione su piccola scala. Solo in questa maniera, i diritti degli agricoltori e la tutela dell’ambiente possono essere assicurati e rafforzati.