Nell’ormai lontano Forum della Società civile di Roma del 1996 (più di 800 organizzazioni presenti con oltre 1000 delegati), parallelo al Vertice Mondiale dell’Alimentazione, avevamo, nel quadro della sovranità alimentare, posto una rivendicazione di fondo, quella di garantire l’accesso ed il controllo sulla terra da parte dei piccoli produttori di cibo. Si chiedeva ai governi di lanciare una nuova stagione di riforme agrarie, come uno degli strumenti più adeguati a garantire la sovranità e al sicurezza alimentare.
Abbiamo atteso fino al 2006 perché venissero convocati i governi per decidere di mettere la riforma agraria e lo sviluppo rurale al centro delle loro azioni di lotta alla povertà e alla fame.
Sarà solo nell’ottobre 2010 che i governi, membri del riformato Comitato per la Sicurezza Alimentare (CFS) che risiede presso la FAO, decideranno di avviare un negoziato per redigere le “Linee guida volontarie sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste”.
Le linee guida volontarie sono uno strumento del sistema delle Nazioni Unite che fissa elementi necessari, ma non obbligatori, per l’azione dei governi (l’equivalente per intendersi delle Direttive dell’UE per gli stati europei). Uno strumento richiesto con forza anche dai movimenti sociali, considerando che sulle questioni della terra spesso i più basilari diritti umani vengono violati, in particolare il diritto al cibo e a produrre cibo.
Le organizzazioni sociali hanno sviluppato un lungo processo interno di consultazioni in tutti i continenti, sostenute dall’IPC (Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare) per elaborare la propria versione delle Linee Guida, utilizzata poi nella negoziazione con i Governi. In effetti il negoziato si svolge con la piena partecipazione dei delegati dei movimenti e delle organizzazioni sociali che rappresentano i piccoli produttori di cibo (contadini, pescatori artigianali, Popoli Indigeni, pastori nomadi, giovani e donne rurali), anche se alla fine il testo delle linee guida sarà di assoluta responsabilità dei Governi, i quali avranno anche la responsabilità della sua applicazione nei singoli paesi e a livello internazionale.
Al momento si sono già svolte due tornate di negoziato globale nel 2011, in cui si è raggiunto l’accordo sui due terzi del testo, e una terza, si spera conclusiva, si terrà dal 5 al 9 marzo 2012.
La presenza organizzata dei piccoli produttori di cibo e di organizzazioni della società civile dentro al negoziato stesso, come partecipanti effettivi e paritetici, è lì a ricordare – imponendo la discussione sulle decisioni proposte, spesso parola per parola – che senza di loro gli accordi di governo non hanno capacità di impatto e che si esce dalla crisi solo adottando strumenti assolutamente innovativi, originali, mettendo in discussione le regole di mercato e la religione liberista.
Per questo il negoziato delle “Linee guida volontarie sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste” è prima di tutto un esercizio delle organizzazioni dei piccoli produttori di cibo per recuperare la propria dignità e il rispetto per ogni membro rappresentato.
Una contadina canadese o un pescatore artigianale africano che discute, negozia, si oppone e rigetta un testo proposto dagli USA o dall’Unione Europea, da un grande e potente paese esportatore dell’America Latina o dalla delegazione del governo cinese, torna a casa, nei campi o sul lago, con più capacità e strumenti per poter affrontare chi gli ruba la terra o il pesce. Più forza per costruire la propria vita senza soccombere alla sopraffazione e all’oppressione.
Certo una direttiva non cambia il mondo né tanto meno ti dà la terra per produrre. Le Linee Guida, però, aiutano a difendersi meglio. A riformare le leggi nazionali, ad evitare che ogni conflitto sull’uso della terra agricola diventi magari un conflitto fra poveri o peggio l’inizio di un conflitto violento che può – come spesso è successo – trasformarsi in guerra civile. È bene che la parte già approvata sia ancorata a diritti umani fondamentali la cui violazione può essere finalmente perseguita davanti a tribunali nazionali o internazionali. Deportare pastori per piantare rose o rimuovere migliaia di coltivatori di riso per piantare palme da olio diventerà più difficile e ci si potrà difendere con più strumenti.
Nella parte che resta da negoziare abbiamo elementi molto rilevanti come:
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Proteggere le comunità locali dagli investimenti e altri tipi di trasferimenti di diritti che minacciano il loro controllo e accesso sicuro sulla terra agricola.
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Dare priorità alle riforme che prevedano la restituzione o la ridistribuzione delle terre per i piccoli produttori di cibo (Riforma Agraria). Metter limiti all’estensione della proprietà privata della terra.
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Assicurare la protezione giuridica dei diritti d’uso delle terre e dei diritti umani connessi all’uso delle terre.
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Rafforzare il riconoscimento e la salvaguardia dei diritti fondiari e dei sistemi di gestione della terra dei popoli Indigeni e delle comunità tradizionali.
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Riconoscere e proteggere i diritti collettivi e gli Usi Civici stabiliti sulle terre pubbliche e/o comuni.
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Rafforzare i sistemi di implementazione, monitoraggio e valutazione delle attività degli Stati nell’applicazione delle Linee Guida.
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Rafforzare le responsabilità e la capacità di risposta degli Stati di fronte ai cambiamenti climatici, ai disastri naturali ed ai conflitti violenti, per garantire il rispetto o il ripristino dei diritti di accesso ed uso delle terre da parte delle popolazioni locali colpite, in particolare i piccoli produttori di cibo.
Le delegazioni dei rappresentanti dei movimenti e delle organizzazioni sociali saranno a Roma dal 2 marzo, questi gli appuntamenti:
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Lunedì 5 marzo, ore 13.00, dentro la FAO, conferenza stampa internazionale per presentare le rivendicazioni che saranno portate al tavolo negoziale
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Venerdì 9 marzo, ore 13.00, conferenza stampa davanti la FAO per fare il punto sul negoziato e discutere delle iniziative da prendere
Come facilmente si intende, la battaglia per un cambio profondo delle politiche globali su terra, alimentazione e agricoltura è ancora lunga, difficile, e gli esiti non sono affatto scontati.
Per questo prima di tutto occorre costruire le alternative a partire dal campo in cui si semina. È necessario alzare la posta delle rivendicazioni a livello nazionale per evitare che le nostre campagne si svuotino di contadini e si riempiano di case, centri commerciali, ipermercati dell’arredo, autodromi e, comunque, di attività effimere che durano il tempo di un appalto. In un periodo di crisi così profonda del modello economico, sociale ed ambientale dominante, lo spazio rurale resta quello più utile, più semplice ed il meno costoso per l’intera società per costruire occasioni di lavoro e creare ricchezza effettiva, fatta di beni e non di carta.