Come è nato 100%bio e il suo interesse per un’alimentazione sana, più attenta e differente da quella convenzionale?
“Tutto è partito da un’idea mia e della mia socia, Gisella Ruffi, per un’esigenza personale perché entrambe, lavorando tutto il giorno, non sapevamo mai cosa mangiare, il momento del pranzo era un momento complicato; in più ho figli e nipoti e ho visto il deterioramento continuo e costante dell’ambiente circostante e io, essendomi sempre occupata di ambiente e paesaggi come architetto sono da sempre sensibile a questo tipo di problematiche. Mio padre è stato tra i primi ad occuparsi di inquinamento in tempi veramente non sospetti, parliamo negli anni ’70 e ’80, ricordo da giovane che si arrabbiava perché al supermercato lo riempivano di borse di plastica.
Io e la mia socia credevamo molto nel biologico così decidemmo di affidarci a persone più competenti e ferrate nella ristorazione biologica, essendo lei antiquaria e io architetto, e decidemmo di aprire questo locale. Proprio perché non sono “del mestiere”, il mio impegno per un’alimentazione differente forse è ancora maggiore, ci credo davvero tanto. Ora se ne parla molto di biologico, ci vengono dati molti input anche negativi, ci sono molti dubbi. Noi usiamo solo ingredienti certificati biologico.”
Come si è trovata nel dover individuare fornitori biologici?
“Abbiamo scoperto che ci sono tante cose che dovrebbero essere messe a punto. La prima è la certificazione: non esiste una certificazione biologica di stato, pubblica, quindi questa è la prima difficoltà, perché certo, si certifica il biologico ma sotto pagamento così la certificazione acquista un valore relativo, dipende da chi ti fa la certificazione. Ci sono agenzie serie che certificano in modo serio, altre lo fanno in modo meno serio. Ora siamo aperti da 3 anni possiamo permetterci di scegliere a seconda del tipo di certificazione, certo se ci fosse una certificazione pubblica il problema non esisterebbe. La seconda difficoltà è che il biologico per la ristorazione è un tema ancora da sviluppare: ad esempio siamo obbligati ad acquistare prodotti in formati inadatti per un locale di ristorazione dato che ad oggi i prodotti lavorati e confezionati vengono venduti quasi esclusivamente in formati adatti ai consumatori singoli. Si pensi quindi ai costi di trasporto, i materiali usati… per questo abbiamo deciso che alcuni prodotti, come la marmellata, la produciamo noi “in casa”, i clienti apprezzano però per noi significa una grande quantità di lavoro in più. Sicuramente abbiamo la certezza degli ingredienti che usiamo così, però è una fatica che non è riconosciuta a livello economico perché chiaramente non si può far pagare ad un cliente un prezzo esagerato per il cornetto con la marmellata, anche se questa è fatta in casa, anche perché un nostro obiettivo è cercare di mantenere prezzi che siano accessibili e accettabili per chi deve mangiare fuori tutti i giorni.”
In questi anni ha avuto l’opportunità di relazionarsi con diversi produttori agricoli, cosa ha potuto scoprire a riguardo? Come affrontano la certificazione biologica i piccoli produttori?
“I piccoli produttori smettono di certificare biologico. Il paradosso è che in genere chi è veramente biologico da sempre, come aziende di famiglia che conosciamo e con cui abbiamo rapporti di fornitura, fanno un’enorme fatica perché la certificazione costa e in più è necessario aggiungere i problemi di spedizione, trasporto ecc, problemi che non vengono mai risolti. È tutto troppo costoso, le piccole aziende non ce la fanno. L’esempio principe è il vino: noi abbaiamo una selezione di cui siamo orgogliosissimi, facciamo noi la selezione dei vini naturali e biologici e abbiamo incontrato così delle realtà meravigliose, persone che non hanno mai coltivato usando altri metodi se non quello della produzione tradizionale e che non possono certificarsi come biologici.”
“Noi non possiamo rifornirci da loro, avendo fatto questa scelta commerciale del biologico, dobbiamo mettere dei paletti, dobbiamo poter dire che è tutto certificato per questione di immagine, come attività commerciale dobbiamo difenderci da eventuali attacchi esterni. Alcune aziende non possono essere nostre fornitrici perché non certificate sono più biologiche del biologico e questo accade perché manca una certificazione pubblica con canoni stabiliti dalla legge.
Il tema del biologico riguarda tutti: dal contadino che pur essendo biologico non può certificare la virtuosità del suo raccolto, al commerciante che deve adattarsi a realtà che non rispecchiamo pienamente il proprio volere, al consumatore. Ci stiamo poi accorgendo sempre più della presenza di componenti dannosi e pericolosi che vengono veicolati nell’alimentazione senza che nessuno intervenga, come i pesticidi, è una cosa spaventosa. Si guardi anche solo l’acqua minerale: sono poche le acque minerali che analizzano anche la presenza di pesticidi nelle falde. Ancora non c’è uno storico sufficientemente ampio dei pesticidi, sono nelle falde, ai livelli più profondi, così beviamo pesticidi, per questo sconsigliamo l’uso di acque minerali, meglio l’acqua dell’acquedotto.”
“Purtroppo non c’è un movimento di opinione pubblica forte da spingere la politica ad intervenire, anche se i segnali sono drammatici, soprattutto per l’agricoltura. Oggi vediamo aprire ovunque grandi negozi che vendono frutta verdura a prezzi bassissimi. Ma questi prodotti, come mandarini a 0,70 cent. Al Kg cosa sono? da dove vengono? chi li ha coltivati, raccolti e quanto è stato pagato? Cosa hanno utilizzato per farli crescere? Meglio prendere i mandarini a 3 euro al kg, ne mangio meno e li mangio tutti, perché si spreca anche tantissimo cibo, e non affamo chi li ha prodotti. Fare diversamente crea un circolo vizioso e non si capisce come possa essere incentivato.”