Il colonialismo digitale alla Conferenza sulla Diversità Biologica

Montreal, Quebec. Organizzazione delle Nazioni Unite. 3 luglio 2018.

La prima sessione plenaria SBSTTA-CBD si è concentrata sull’Informazione sulla Sequenza Genetica Digitale (DSI). Questa tecnologia rende possibile digitalizzare in forma numerica le informazioni contenute nei geni, come ad esempio il genoma. Pertanto, non è necessario un campione fisico per studiare il DNA e persino per modificare o creare nuovi organismi viventi.

Alcuni paesi hanno obiettato, contro l’evidenza scientifica, che questa informazione genetica digitale non costituisce di per sé materiale genetico, sostenendo che non si tratta di materiale genetico “tangibile”. Si mette così in dubbio l’importanza di affrontare questo argomento nella CBD e trattarlo secondo il Protocollo di Nagoya. Siamo scioccati dal fatto che alcuni paesi dell’Unione europea, ad esempio, utilizzino due pesi e due misure per servire i loro interessi. Quando si parla di accesso alle informazioni genetiche, questi paesi affermano che è l’accesso è indipendente dalla risorsa genetica fisica, in altre parole dal materiale. Ma quando si tratta di applicare i loro brevetti, dicono esattamente il contrario. L’Articolo 9 della direttiva europea 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche dice:

“Articolo 9

La protezione conferita da un brevetto su un prodotto contenente informazioni genetiche o costituite da informazioni genetiche si estende a qualsiasi materiale, fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 1, in cui il prodotto è incorporato e in cui l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione.”

Pertanto, su base legale, le risorse genetiche sono formate da componenti tangibili e intangibili. Stiamo assistendo, da parte di alcuni paesi, a dichiarazioni politiche camuffate da affermazioni scientifiche. Questo mettere in questione che le informazioni genetiche digitali siano parte del materiale genetico, da parte di alcuni paesi industrializzati, non deriva che da interessi particolari.

Infatti se si accetta che le informazioni genetiche digitali non siano soggette al Protocollo di Nagoya, il loro uso non sarà regolato o monitorato.

Ci sembra che la posizione di questi governi sia motivata dal fatto che difendono gli interessi di multinazionali che già posseggono megaserver con cui possono archiviare e analizzare tali dati. Deve essere chiaro che sono pochi i paesi privilegiati che hanno la tecnologia per elaborare questi dati e, chiaramente, non vogliono che questi dati siano soggetti al Protocollo di Nagoya. Senza nessuna regolazione internazionale, sarà possibile utilizzare questi dati genetici digitali per creare e brevettare il materiale vivente senza sottostare ai meccanismi di condivisione dei benefici (benefit sharing), senza dover ottenere il Consenso Previo LIbero e Informato delle comunità e senza dover rispondere al principio di tracciabilità. Quindi, stiamo assistendo a una nuova fase di biopirateria. Si può quindi dire che si tratta di colonialismo digitale, poiché non solo queste tecnologie non sono realmente accessibili ai paesi meno privilegiati, ma proprio questi paesi saranno il luogo di sperimentazione di queste tecnologie.

Fortunatamente, alcuni paesi come Cina, India, Bolivia, Marocco, i rappresentanti dei movimenti giovanili, delle donne e dei Popoli Indigeni sono stati in grado di ricordare con forza che l’informazione genetica è materiale genetico, che sia tangibile o no, ed è importante che il suo uso va inquadrato nel Protocollo di Nagoya.

Via Campesina ribadisce che la questione delle informazioni genetiche digitali dovrebbe essere discussa nella CBD, ma poiché il presidente della sessione non ci ha dato la parola su questo punto di agenda, non abbiamo potuto sostenere pubblicamente questa posizione. È dunque fondamentale assicurarsi che il Protocollo di Nagoya possa regolare l’uso di queste sequenze digitali.

 

Delegazione La Via Campesina