11 novembre 2018, San Martino
I giorni non sono mai uguali, il vento soffia più forte, la pioggia si fa attendere per 5 mesi. E l’alba arriva con certezza a rimuovere la notte che nasconde le cose. Niente, però sparisce nella notte, diventa solo invisibile. Come i sentimenti che sprofondano e si nascondono per pudore dietro un sorriso appena percettibile. Contadine, contadina. Sentimenti ben protetti, incorniciati nel silenzio e nella fatica.
Al lavoro con un forcone più grande di lei, duro da alzare riempito di letame. Ancora più duro da estrarre da un piede. Il tetano che avanza tenuto sotto controllo misurando i movimenti della bocca. Infine il medico, la cura e la paura. Resta per sempre. La guerra, le fughe. I campi degli altri, il caporale, la compagnia. Il fattore che misura le file zappate alla fine della giornata. Il silenzio della cucina. Il fuoco ed il profumo della cena. Ancora un giorno, ancora fatica “ma la guerra finirà, i tedeschi andranno via, il fattore scenderà da cavallo”. Un giorno.
La guerra è finita. Resta il padrone a dividere la metà del raccolto. La terra, il mare – così lontano dai monti dove pascolava le pecore mentre accudiva sua sorella – le vacche, la vigna, la mietitura, la vetta dei bovi così difficili da tenere sotto controllo con quelle sue mani piccole e sicure. La grande famiglia, dove tutti possono dire ma è sua suocera alla fine che decide. I figli sono una gioia che ti appartiene e che – finalmente – non devi condividere che con te stessa. Allattarli è il gesto che ti fa sorridere. Le loro malattie ti fanno piangere in silenzio, lontano dagli altri. Perché anche quelle lacrime sono solo tue e di nessun altro. Sono il tuo premio e la tua conquista. La zuppa di latte con il tuo pane appena sfornato, tutti i ragazzini in fila sulle scale di casa, alla sera sono il tuo piccolo esercito che ti rende meno pesante la giornata. La piccola compensazione prima della confusione per la cena di tutti nella grande cucina. Qualche chiacchiera delle donne, i commenti sugli amori della giovane cognata, riparare pantaloni, cucire, impastare, sognare. Forse. Nessuno ne parla dei tuoi sogni, sono tutti troppo stanchi. Ma ci sono e restano nascosti.
I contratti di mezzadria non sono eterni. Finiscono e ti lasciano senza lavoro, senza casa, senza futuro. Senza terra. Restano i figli, troppo piccoli, non sanno capire e consolare. Incapaci di rimuovere quel peso che si porta dentro mentre si cercano vie d’uscita. Ancora braccianti? Andare a “serva”? La riforma agraria appare come una possibilità. Finalmente una terra tutta sua. Poca, brutta, difficile da lavorare. Non c’è acqua, non c’è una strada. I cardi sono più alti della casetta pensata per gli assegnatari dell’ente Maremma, senza bagno, senza fondamenta. Un insulto ma l’unico modo per guardare avanti. “Ce la faremo? E se non ce la faremo almeno abbiamo un tetto”.
Al lavoro. Imparare ogni giorno a costruire qualcosa che le appartiene. Imparare a guidare il trattore e a far pesare le sue scelte. Timidamente. Senza clamore. I figli a studiare, costi quel che costi. Strapparsi il cuore per mandare un bambino piccolo lontano, in città, da sconosciuti a studiare. Un dolore mai comunicato, mai condiviso. Lacrime saranno scivolate al forno, o andando ai maiali o sul trattore mentre tornava a casa. Lei, come milioni di contadine.
Poi il corpo comincia a piegarsi, ferito dai pesticidi e dalla fatica, dagli incidenti lavorando, dall’età, consolato dalla tranquillità di giorni sicuri. Passare la mano ad altri nella fatica del coltivare e conquistare, finalmente, il centro della casa. Con forza, con determinazione. La gioia per le visite improvvise di amici, parenti, conoscenti. I nipoti a cui offrire un pranzo preparato con cura e sapori unici. O allungare loro qualche soldo, solo per confermare la sua capacità di essere presente, conoscere le loro necessità, insieme ad un rapido abbraccio. O guardarli crescere in silenzio raccogliendo con gioia brandelli della loro vita così lontana dalla sua alla loro età.
Lei è morta. Maria è morta. Maria era mia madre. Oggi la tua casa respira ancora di te, ma è più vuota. In ogni pezzo di terra dove “il pane è frutto della terra e del lavoro” ci sono contadine pronte a continuare e prendere il suo posto. Con forza, con determinazione, con coraggio, con gioia e al comando.