Foto di Viola Taormina, Myanmar, 2020
Il pesce fornisce più del 20% dell’apporto medio pro capite di proteine animali per 3 miliardi di persone, più del 50% in alcuni paesi, ed è uno dei prodotti alimentari più commercializzati a livello globale. Secondo quanto riportato nell’ultimo rapporto SOFIA della FAO, il pesce e i prodotti ittici più in generale, rappresentano una preziosa fonte di nutrimento, fondamentale per diversificare le diete e per affrontare alcune delle più gravi carenze alimentari diffuse nei paesi del sud del mondo. Il consumo di pesce è cresciuto costantemente negli ultimi 50 anni e si stima che tra il 1961 e il 2016 sia addirittura raddoppiato. Inoltre, il settore ittico rappresenta una fonte di reddito per milioni di persone. Le più recenti statistiche indicano che nel 2016 erano circa 60 milioni le persone impegnate nel settore primario della pesca e acquacoltura (con 19,3 milioni di persone impegnate nell’acquacoltura e 40,3 nella pesca)[1].
Il settore ittico è un motore acceso tutti i giorni. In tempi normali i mari si riempiono di pescherecci prima delle prime luci dell’alba e i mercati dei porti si affollano di odori, suoni e grida di chi vuole vendere il prodotto più fresco.
Ma come ormai siamo abituati a leggere tutti i giorni, non viviamo in tempi normali. Da quando l’emergenza Covid-19 è entrata nella vita di ognuno noi, ci sono state conseguenze anche sul settore ittico. La pesca su piccola scala sta cercando di restare attiva, mantenendo i propri mezzi di sussistenza e cercando di fornire i propri prodotti quotidianamente. Ma riuscire a sostenere pienamente l’intera catena di approvvigionamento è una sfida molto complicata, in particolare per la vendita dei prodotti freschi che richiedono una commercializzazione e uno stoccaggio giorno dopo giorno.
Con il regime di quarantena è stato più difficile per i pescatori raggiungere direttamente i consumatori che, infatti, prediligono acquistare al supermercato per limitare gli spostamenti. Inoltre, il pesce fresco è spesso tra i primi alimenti a cui si rinuncia in caso di difficoltà economiche. Con molti mercati chiusi, i prezzi del pesce fresco all’ingrosso sono crollati e l’accesso allo stoccaggio e alle strutture di commercializzazione alternative è limitato.
In alcuni paesi come l’Italia la chiusura di ristoranti e alberghi ha causato per i pescatori di piccola scala la perdita dei maggiori acquirenti. In molti si sono visti costretti a vendere il pescato alla grande distribuzione organizzata, ma a un prezzo talmente basso da non riuscire quasi a coprire i costi del gasolio. Inoltre, riuscire a soddisfare i nuovi requisiti sanitari e le misure di allontanamento sociale richieste in tutte le fasi di cattura e commercializzazione del pesce è molto difficile.
In altri angoli del mondo la situazione non appare più rosea. Nei paesi del sud del mondo la popolazione rurale e le comunità di piccoli pescatori stanno soffrendo un aumento dei livelli di povertà e della fame causato dalla pandemia globale Covid-19. Ciò che più preoccupa sono le misure applicate da molti paesi per fronteggiare la crisi sanitaria e il loro possibile utilizzo per una maggiore repressione contro le comunità rurali. Attuando i blocchi emessi a livello nazionale, le comunità potrebbero essere escluse dall’allevamento o dalla pesca e private dei loro mezzi di sostentamento. Queste difficoltà si aggiungono a quelle già esistenti nei sistemi sanitari pubblici che, erosi da decenni di politiche di privatizzazione neoliberale, spesso non riescono a raggiungere le zone rurali, lasciandole in condizioni di grave vulnerabilità in caso di estensione della pandemia.
Molte comunità costiere vivono continue sfide per riuscire a garantirsi la sopravvivenza. Soprattutto nel sud del mondo l’economia delle comunità costiere è stata storicamente garantita dai sistemi di pesca e allevamento ittico tradizionali. Il modo di produzione è però cambiato drasticamente nel corso degli anni, segnando devastanti conseguenze per i pescatori e le loro piccole aziende. Già nel 2002 durante il Summit Mondiale dello Sviluppo Sostenibile di Johannesburg si evidenziava come gran parte delle persone che vivevano con meno di un dollaro al giorno erano pescatori artigianali.
Le cause di questa condizione sono da riscontrare soprattutto nella presenza massiccia di pescherecci che riducono in modo preoccupante il numero di pesci nel mare. La loro presenza è possibile soprattutto grazie ad accordi che l’unione Europea ha firmato con paesi del sud globale che garantiscono buone riserve ittiche, come ad esempio la Mauritania[2]. Dietro contropartite finanziarie ingenti l’Unione Europea si è garantita l’accesso alle acque di questi paesi introducendo politiche basate su impianti di acquacoltura e allevamenti industriali.
Le conseguenze sulla sicurezza alimentare delle comunità di pescatori sono state devastanti. Come la Rivoluzione Verde in Agricoltura, la Rivoluzione Blu del settore ittico ha introdotto il meteo delle vasche che ha avuto effetti distruttivi sull’ambiente costiero. Per ottenere una vasca è necessario scavare fino a due metri di profondità nella terra e successivamente riempire i bacini con acqua e prodotti chimici. Molti pesci muoiono per le sostanze inquinanti rilasciate nel mare e i pesci rimasti si spostano in acque più profonde dove non è possibile per i pescatori artigianali catturarli[3]. La perdita di biodiversità causata dai metodi industriali si traduce spesso in malnutrizione per la popolazione rurale. Queste politiche di stampo neoliberale vengono adottate con la motivazione umanitaria di voler aumentare la disponibilità di risorse alimentari, ma quello dell’abbondanza si è scoperto in pochi anni essere solo un falso mito.
Con l’enorme quantità di mangime che necessitano gli allevamenti, in realtà il sistema consuma molto più di quel che produce. Un sistema che non tiene conto della complessità della natura e “un regime alimentare che si concentra solo sul profitto annienta le condizioni sociali che alimentano la diversità intellettuale alla base dalla creatività di un popolo”[4]. Eppure, è proprio la creatività dei saperi locali che in questo momento di crisi ed emergenza può mostrare una via per il cambiamento.
La diffusione del Covid-19 ha imposto il fermo a moltissime attività umane ed è bastato pochissimo tempo per vedere la natura rinascere. In molte zone d’Italia, diverse specie di pesci sono tornate a popolare i porti e le acque sono tornate a risplendere. Ma questa positività non ci deve abbagliare, gli animali resteranno, le acque rimarranno pulite solo se ci dimostreremo in grado di rispettarle. L’imperativo di creare sistemi di produzione e distribuzione in grado di rispettare la natura è ora più vivo che mai, abbiamo la dimostrazione concreta che un cambiamento è possibile e anche necessario. L’epidemia sembra aver smascherato i punti più deboli del sistema neoliberale e, quando si parla di mare, il cambiamento non può che iniziare dai piccoli pescatori che da secoli solcano i mari e dalla cui esperienza si producono saperi in grado di creare sistemi di pesca in connessione con la natura. Se vogliamo proteggere le nostre acque dobbiamo ripartire da loro.
Questo è il lavoro portato avanti dal Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare (IPC) che tra i suoi diversi gruppi di lavoro ne disegna uno specifico per la tutela dei piccoli pescatori. L’IPC ha svolto un ruolo cruciale per far approvare all’interno del Comitato per la pesca della FAO le Linee Guida per la Pesca su Piccola Scala, che rappresentano il primo strumento internazionale dedicato in modo specifico al settore della pesca su piccola scala. Le linee guida sono state redatte seguendo un approccio olistico, radicato nei diritti, che cerca di dare priorità ai gruppi emarginati e all’uguaglianza di genere. Adesso è compito dei governi nazionali far sì che vengano seguite queste regole, anche a discapito di qualche interesse che finora aveva tentato di remare contro il raggiungimento delle stesse.
Crocevia, nel ruolo di segretariato dell’IPC, supporta i pescatori di piccola scala in tutto il mondo, anche e soprattutto in questo momento di difficoltà per l’intero settore che vede le preesistenti fragilità acuirsi dagli effetti economici della pandemia. La strada che porta al rispetto dei diritti, verso un futuro più sostenibile, deve essere la priorità poiché solo così si riuscirà a non rendere vani l’impegno e i sacrifici fatti fino ad ora, per il bene dell’ambiente e di tutti noi.
Autrice: Viola Taormina
Editing: Emanuele Lucci, Eleonora Mancinotti
Web Content Editor: Marco
Galluzzi
[1] SOFIA 2018, FAO
[2] Accord de pêche Ue – Mauritanie « Le Courrier Acp -Ue » n.191, 2002
[3] Maria Rosa dalla Costa, Monica Chilese “Nostra Madre Oceano: Questioni di lotte del movimento dei pescatori”, DeriveApprodi, 2005, pp.67,68
[4] V.Shiva, Biopirateria. Il saccheggio della natura e dei saperi indigeni, CUEN, 1999