di Antonio Onorati, CROCEVIA
Siamo da giorni bombardati da articoli e dichiarazioni di difensori dei “diritti dei contadini” sulle sementi. Inutile commentarli uno per uno poiché quasi tutti questi articoli, in maniera assolutamente superficiale, inesatta e a volte completamente falsificata, riprendono comunicati stampa senza andare nel dettaglio né delle direttive comunitarie in materia di sementi, né della sentenza della corte di giustizia (C-59/11 del 12/07/2012). Peggio, non tengono conto di quanto almeno dai lontani anni ’80 il movimento contadino per la difesa dell’agrobiodiversità sta facendo.
Ad esempio, scrive Italo Romano (www.ecplanet.com/node/3532 – 14 settembre 2012): “Fin dal 1998 è in vigore una direttiva comunitaria che riserva la commercializzazione e lo scambio di sementi alle ditte sementiere (Monsanto e altre multinazionali) vietandolo agli agricoltori”.
Suona forte e radicale ma è un’affermazione essenzialmente falsa. La direttiva europea 98/95 non riserva lo scambio delle sementi alle ditte sementiere, bensì regola la commercializzazione delle sole varietà “industriali”, che sono coperte da un diritto di proprietà intellettuale ed iscritte al catalogo varietale. La direttiva autorizza invece a stabilire condizioni specifiche per varietà da conservazione o non inscritte al catalogo (così come fatto in seguito dalle leggi sementiere italiane) per la commercializzazione delle sementi e per la conservazione della biodiversità in situ, comprese le miscele di specie o le specie adattate all’agricoltura biologica.
I contenuti della 98/95 sono stati meglio precisati a distanza di dieci anni da altre due direttive europee, la 2008/62 e la 2009/145, le quali pongono i termini per la registrazione delle varietà di “conservazione“ (riservato a specie agricole, patate e verdure) e di quelle “create per rispondere (a particolari) condizioni di coltivazione“ (riservato per gli ortaggi). Queste direttive comunque non modificano il campo di applicazione della normativa comunitaria relativa alla natura e alla gestione del catalogo varietale.
Pertanto non esiste nessun obbligo di iscrizione al catalogo per le varietà dette “da conservazione” e per l’uso di sementi ad esclusivo uso non commerciale, come quelle utilizzate per la conservazione della biodiversità nei campi, le sementi contadine o per il giardinaggio (“agricoltura hobbistica” perché queste vengono subito messe a dimora nei campi o nei balconi). Per esempio, il contadino può vendere i propri semi al commerciante di sementi oppure al suo vicino che le pianta nel proprio campo: nel primo caso si tratta di un uso commerciale e la varietà dovrà essere iscritta nel catalogo, mentre nel secondo non c’è alcun tipo di obbligo a cui sottostare.
Vale la pena di ripeterlo, l’attuale quadro giuridico comunitario (una riforma è prevista nel prossimo anno) si applica alla produzione di sementi per la commercializzazione e detta norme relative alla circolazione “per lo sfruttamento commerciale” delle sementi stesse.
Queste due direttive, per la loro natura fluide, hanno consentito a quanti da 20 anni seminano e riseminano nei loro campi varietà non commerciali che regolarmente scambiano con altri agricoltori di rimettere in coltivazione per migliaia di ettari le vecchie varietà. I contadini stessi hanno avviato una gestione dinamica dell’agrobiodiversità, grazie a sistemi di grandi dimensioni anche settoriali basati sulle reti di sementi contadine, come il caso delle varietà di grano tradizionali non iscritte a nessun catalogo (www.semencespaysannes.org). Hanno rimesso in moto la capacità di creazione varietale da parte degli agricoltori stessi, nei campi e non nei laboratori, anche in collaborazione con ricercatori attenti ai processi di erosione genetica, propria della creazione varietale dell’industria sementiera. Una parte molto importante della produzione bio si sostiene proprio grazie alle sementi contadine.
Questo processo collettivo ha prodotto un rinnovamento ed un forte allargamento delle conoscenze contadine nella gestione delle sementi in azienda, aumentandone la “sovranità” e l’autonomia rispetto all’industria sementiera, e, più in generale, rispetto al modello agricolo dominante. La credibilità dei risultati ottenuti si è rafforzata anche da un punto di vista scientifico (cfr. Tesi di dottorato sul processo di creazione varietale partecipativo del Dott. Calogero di Gloria, 2011) e ciò ha permesso un’efficace strategia legale a difesa delle sementi contadine nei campi.
Certo quelle direttive hanno elementi non condivisibili e spesso la normativa nazionale è molto diversa da paese a paese, a seconda del peso politico dell’industria sementiera. La legislazione francese, ad esempio, ha continuato ad applicare in modo riduttivo o a eludere totalmente le normative comunitarie sui semi, tentando di imporre l’iscrizione obbligatoria delle varietà contadine nel catalogo delle varietà industriali; la posizione del governo francese è stata abbondantemente utilizzata per attaccare Kokopelli, un’associazione che da anni commercia sementi di varietà tradizionali provenienti da tutto il mondo.
Veniamo a cosa c’è scritto nella famosa sentenza della corte di giustizia dell’Unione europea del 12 Luglio 2012. Secondo Guy Kastler, uno dei fondatori della Réseau Semences Paysannes, la rete sementi contadine francese, leader della Confédération Paysanne e de La Via Campesina e partecipante ai lavori dei comitati tecnici europei: “Nella sua sentenza, la Corte di giustizia non si è impegnata nel merito, ma semplicemente ha risposto ricordando la forma: – la legislazione europea vigente è coerente con le priorità che le sono state assegnate;
– si è aperto nel 2008 un nuovo quadro di riferimento per tener conto delle nuove esigenze della società (varietà da conservare) e ha già previsto che questo nuovo quadro sarà presto adattato sulla base di una valutazione della sua attuazione […] Per quanto riguarda l’accusa contro Kokopelli, questa sentenza […] non offre nessuna spiegazione sull’interpretazione della legislazione vigente in Francia (le attività di commercializzazione ricadono sotto la disciplina del catalogo varietà amatoriali o sotto quelle delle varietà industriali?)“. Per quello che riguarda la questione dei regolamenti comunitari in vigore, “…questa sentenza non cambia niente, non fa che richiamarne i contenuti e non si esprime in nessun modo sui limiti del loro campo d’applicazione.”
Per questo dobbiamo avere un’idea chiara di chi sta seminando la confusione attraverso azioni di comunicazione che – senza andare nei contenuti effettivi delle decisioni prese e delle questione proprie alle sementi contadine – si allinea sulle parole d’ordine dell’industria sementiere che, dietro lo slogan delle “sementi libere”, vuole ridimensionare i “diritti degli agricoltori” sulle sementi.
Le sementi non appartengono all’umanità, né alle industrie, ma agli agricoltori, quindi non possono circolare liberamente senza che questi abbiano prima ottenuto la necessaria protezione dei diritti – tutti di natura collettiva – che detengono su queste “risorse”. E’ impensabile che si possa difendere e sostenere la gestione dinamica dell’agrobiodiversità o più semplicemente proteggere le varietà tradizionali senza un quadro normativo, che deve essere definito prima di tutto dai contadini che producono ed utilizzano le sementi. Tale quadro deve proteggere esplicitamente diritti come quello di scambiare o vendere sementi “per un loro uso non commerciale” ad altri contadini.
Solo così potremo avere una produzione di prodotti di qualità o biologici che non siano di nicchia ma rivolti ad un consumo popolare ampio. Noi immaginiamo milioni di ettari di terra seminati di varietà tradizionali o create dai contadini stessi.
La beffa peggiore delle campagne di comunicazione in corso per le “sementi libere” è che i commercianti di semi pretendono di avere le mani libere in nome dei diritti degli agricoltori e, alla fine, si rischia di cancellare i diritti degli agricoltori per mettere un freno al libero mercato. Guy Kastler lo dice con chiarezza “… le informazione incomplete fornite rafforzano la propaganda dell’industria sementiera e dei suoi sostenitori nell’amministrazione pubblica, allo scopo di non riconoscere l’esistenza dei diritti degli agricoltori al di fuori fuori dell’obbligo di iscrizione al catalogo (delle sementi industriali)”.
I diritti degli agricoltori vanno praticati e devono trovare un quadro giuridico e delle politiche pubbliche che li sostengano. Questo richiede iniziative continue di mobilitazione collettiva. Se al contrario ci rinunciamo alcuni, pochi, avranno la possibilità di agire “clandestinamente”, ma la gran massa delle aziende contadine finirà per dover accettare di comprare le sementi, e poco importa se a venderle sarà una gentile impresa di commercializzazione di sementi, come Kokopelli o una cattivissima multinazionale.
PS: Un grazie particolare va a GUY KASTLER per la chiarezza nel trattare, da contadino, queste materie, a riprova che non abbiamo bisogno di mediatori culturali tra “scienza” e “contadini”.